Pistacchio di Bronte

Dettaglio

Se lo chiamano “l’oro verde” un motivo ci sarà!

Ci sono tesori in Sicilia che meritano di essere svelati ed assaporati lentamente. Tra questi, alcuni sono grandi protagonisti della cucina italiana tout court.

Bronte, paesino arrampicato sull’Etna, è conosciuto per il suo oro verde che è anche storia di un distillato di mitologia, amori, tradimenti, vigliaccheria. Dai Ciclopi all’Imperatore di Costantinopoli, da Papa Borgia all’Ammiraglio Nelson, da Heatcliff a Nino Bixio, fino a Giovanni Verga: tutti legati a Bronte, e forse non hanno mai mangiato un pistacchio.

Bronte vuol dire “tuono” ed è il nome di uno dei Ciclopi che nelle fucine etnee di Efesto forgiavano i fulmini di Zeus. La grotta di Bronte è una di quelle cave in cui andavano a morire gli elefanti nani, al tempo in cui abitavano la Sicilia e quando ne furono ritrovati i teschi. L’enorme foro nasale della proboscide sulla fronte fu scambiato per occhio di Ciclope ed ecco nascere la leggenda dei Ciclopi in Sicilia. Ma gli elefanti nani non ebbero mai l’opportunità di gustare i pistacchi. Perché questi arrivarono a Bronte con l’invasione degli Arabi. Furono i musulmani ad innestare nel fertile terreno lavico siciliano le più squisite piante mediorientali: le pesche, gli agrumi e i pistacchi.

L’oro verde, la frastuca, così veniva chiamata ai tempi quando serviva da medicinale, è davvero color smeraldo, il sapore e il profumo sono impareggiabili e rendono unici gelati, sughi, creme, salse, dolci, per un’incredibile adattabilità in equilibrio delicatissimo tra dolce e salato.

Qualche anno fa, per chi non era di queste parti, il pistacchio era solo un gusto dal colore troppo verde in gelaterie ancora lontane dal definirsi artigianali, o un prelibato stuzzichino da accompagnare all’aperitivo. Poi le cose sono cambiate: più consapevolezza, più voglia di scoprire che cosa sta dietro a ciò che arriva sulla tavola.

A Bronte è un vero e proprio rituale collettivo che coinvolge tutta la popolazione, donne e bambini compresi.

La potatura verde è una tradizione che si tramanda da padre in figlio senza soluzione di continuità. Testimonianza di una cultura, quella contadina, secondo cui, grazie al “riposo”, la pianta assorbe dal terreno lavico le sostanze necessarie per produrre un frutto più ricco di aromi dai sapori inconfondibili.

A causa dell’ambiente impervio e scosceso e il pericolo di dispersione del frutto fra le rocce vulcaniche, le “sciarelle dei lochi“, la manodopera per la raccolta è costosa. Questa è ancora fatta in modo totalmente manuale: facendo cadere i frutti dagli alberi direttamente dentro un contenitore portato a spalla o scuotendo i rami per raccogliere i pistacchi su teli stesi ai piedi delle piante o, in alcuni casi, anche con l’uso di un ombrello capovolto.

Questo smeraldo prezioso dentro il guscio è unico se nasce dalla roccia. Inutili sono le imitazioni, perché il pistacchio verde di Bronte DOPè dolce e profumato soltanto se il terreno di produzione è di sudore e lacrime irrorato”.

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